È di qualche settimana la notizia dell’Impact Investor Survey 2018 del GIIN – Global Impact Investing Network, il principale network di impact investing a livello globale, che raduna asset managers, società di advisory e investitori i cui portafogli gestiti rispondono a logiche di impatto sociale o ambientale, intenzionale e misurabile, oltre che di rendimento finanziario.
I membri appartengono a diverse categorie di investitori, che utilizzano strumenti molto differenziati in termini di rischio, rendimento e impatto. In altre parole, rispondono sia a logiche di tipo “impact first” che di tipo “finance first“. I soggetti che si iscrivono al GIIN, su base volontaria, compilano un questionario dettagliato sui propri portafogli gestiti, che permette al GIIN di stilare annualmente un’analisi dettagliata sul più ampio campione di investitori a impatto sociale attualmente disponibile. L’analisi di seguito presentata è una rielaborazione di Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore basata sull’Impact Investor Survey 2018 del GIIN, relativo a dati 2017, e su un confronto con i report degli anni precedenti.
Nel 2017, il totale delle risorse finanziarie gestite con logiche di impact investing ha raggiunto la quota di 228 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto al 2016. L’effetto non è solo dovuto a un aumento della compagine dei membri del GIIN – passati da 209 nel 2016 a 229 nel 2017 – e quindi a una maggiore diffusione dei principi di impact investing nel mondo, ma anche a una crescita dei portafogli dei singoli rispondenti rispetto all’anno precedente. Dei 228 miliardi di dollari, circa 2/3 sono gestiti con un approccio “finance first”, con obiettivi di rendimento di mercato, e 1/3 con un approccio “impact first”, in cui l’obiettivo di rendimento è inferiore ai tassi di mercato o orientato alla preservazione del capitale.
Anche l’ammontare investito annualmente è aumentato a un ritmo superiore al 50% annuo dal 2014 al 2017, raggiungendo 35 miliardi di dollari investiti con logiche di impact investing nel 2017.
In termini di settore, storicamente gli investitori hanno privilegiato la microfinanza e i servizi finanziari, l’housing sociale e l’energia, che costituiscono insieme oltre il 50% degli asset gestiti. Seppur con dimensioni ridotte, pari al 4% del campione, il settore WASH (water, sanitation & hygene), cioè relativo alle condizioni di igiene, fornitura di acqua potabile, etc., è quello a maggior crescita rispetto al 2016, in cui rappresentava l’1% del totale.
Questo trend può essere parzialmente spiegato dalla maggiore crescita dei capitali allocati in mercati emergenti, che nel 2017 hanno rappresentato il 56% del totale, superando per la prima volta i mercati più sviluppati. America Latina, Asia e Middle East hanno registrato tassi di crescita annui 2014-2017 superiori al 70%, rispetto al 56% dell’Europa Occidentale e al 39% del Nord America, che resta la zona a maggiore attrazione di capitali (20% del totale).
Un ultimo sguardo all’Italia: secondo la ricerca Tiresia Social Impact Outlook 2018, sono €210 milioni gli asset di gestori e investitori italiani che rispondono a logiche di impact investing. Se da un lato il settore è ancora in una fase prematura, a fronte di 228 miliardi di dollari a livello globale, si ipotizza che entro i prossimi 3 anni gli asset gestiti possano raggiungere quota €400 milioni. Secondo le nostre stime, questo potrebbe significare un investimento medio annuo di almeno €20 milioni annui a regime, a fronte di una stima attuale intorno a €6 milioni annui. Un mercato ancora piccolo in Italia, ma in crescita, che sta attirando sempre più le attenzioni dei nuovi investitori che cercano obiettivi di impatto sociale, ambientale e culturale, oltre a un rendimento finanziario.