Lo scorso 22 novembre presso la sede del Sole 24 Ore di Milano è stato presentato il Tiresia Social Impact Outlook 2019. Un’indagine annuale, giunta alla sua seconda edizione, che si propone di fotografare le dimensioni del mercato italiano dell’impact investing, mediante il coinvolgimento diretto degli attori che ne compongono l’ecosistema, sia dal lato della domanda che dell’offerta.
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Un mercato in espansione, ma poco definito
Negli ultimi anni il fenomeno della finanza a impatto, che a livello mondiale ha un valore complessivo di 702 miliardi di dollari – secondo l’ultimo Report del GIIN – sta accrescendo la propria forza narrativa e mediatica, anche in conseguenza del numero di soggetti che fanno ingresso all’interno del suo variegato ecosistema. Si tratta tuttavia di un fenomeno, nato dalla pratica e ad oggi scarsamente teorizzato, che rischia di diffondere una “dialettica d’impatto” talvolta impropria o abusata, al punto che si inizia a parlare di “impact-washing”: “se tutto è impatto, nulla è impatto” – ha ricordato il prof. Mario Calderini, alla guida di Tiresia, il centro di ricerca per l’innovazione e la finanza sociale della School of Management del Politecnico di Milano.
In conseguenza di tale constatazione, urge tentare di definire il fenomeno della finanza a impatto in modo chiaro e univoco, con un approccio qualitativo e non quantitativo, accettando la possibilità di dover escludere, e non includere ad ogni costo, i soggetti che non operano secondo i criteri della cosiddetta “triade teorica”. Tre pilastri necessari per perimetrare un rinnovato approccio alla finanza, preservando il suo significativo potenziale trasformativo: intenzionalità nella definizione ex ante degli obiettivi d’impatto; misurabilità, riferita alla possibilità per l’investitore di monitorare gli effetti prodotti dall’investimento in termini di impatto sociale, ambientale e culturale; addizionalità, intesa come capacità di intervenire in aree sottocapitalizzate e spesso poco battute dai tradizionali operatori di mercato.
Dati in sintesi
La ricerca ha identificato circa 101 attori dell’ecosistema italiano della finanza a impatto (non tutti impact investors, propriamente detti), analizzandone complessivamente 58 – 38 operatori dal lato dell’offerta di capitali e 20 soggetti investiti.
Tra gli intervistati (in particolare, banche, fondi e fondazioni) il 76% ritiene che la triade sia utile per definire gli investimenti a impatto, mentre solo il 23% dichiara di utilizzarla nel proprio approccio nell’analisi d’investimento.
Il capitale per l’impatto impiegato dal 2006 ad oggi è di circa 8 miliardi di euro: il totale degli investimenti in equity effettuati dai soggetti intervistati dal momento del loro ingresso nell’industry è di 1.263,4 milioni di euro (15,7% del totale degli impieghi). Il totale dei finanziamenti erogati dagli intervistati sotto forma di credito alle organizzazioni ad impatto sociale è di 6.767,8 milioni di euro (84,3% del totale degli impieghi). Nel 2019, invece, il complessivo degli asset gestiti dagli operatori equity è pari a 1.824,75 milioni, con un possibile margine di crescita del 19% per il prossimo anno e un volume strictly impact che potrebbe raggiungere i 573 milioni di euro.
Infografica da il www.ilsole24ore.it
Rispetto alle aree di impatto sociale, tra gli obiettividegli investimenti e dei finanziamenti, classificati secondo i 17 SDGs delle Nazioni Unite, prevale il n°8 “Buona occupazione e crescita economica” (73,7% degli operatori) seguito dal n°9 “Imprese, innovazione e infrastrutture” (65,8%).
Criteri di screening, rischi e rendimenti
Tra i criteri di screening adottati dagli operatori per l’impiego del capitale, il più utilizzato è l’analisi del modello di business (83,3%) seguito dal potenziale del progetto imprenditoriale di rispondere a un bisogno sociale (66,7%) e dalle competenze manageriali e tecniche del team (30%). Da ciò si evince che per un terzo degli operatori l’impatto sociale rappresenta una condizione di eleggibilità dell’operazione finanziaria ma non un criterio di screening vero e proprio.
In merito al rischio finanziario associato alle operazioni di finanza per l’impatto, l’insieme di intervistati ha dato risposte eterogenee: il 45,5% dichiara un rischio maggiore delle operazioni ordinarie, mentre il 42,4% in linea ed un 15,2% inferiore. È rilevante osservare che la percezione di maggiore rischiosità è sensibilmente differente tra investitori equity e operatori sul mercato del credito, essendo questi ultimi più orientati ad una percezione di rischio minore.
Per quanto riguarda i rendimenti attesi, il 60% degli intervistati dichiara aspettative di rendimento inferiori rispetto ai normali valori di mercato. Per il 73% degli investitori equity i rendimenti attesi si attestano tra il 2% e il 5%. Per chi opera nel mercato del credito, i rendimenti sono prevalentemente in linea con gli ordinari tassi di mercato.
Tra le strategie di exit, riconosciute come un possibile ostacolo agli investimenti, prevalgono l’acquisizione delle quote da parte di altri investitori e il management buyout, mentre ancora irrilevante è l’aspettativa della possibile nascita di mercati organizzati per i titoli a impatto sociale. Dal punto di vista delle barriere che ostacolano lo sviluppo dell’industry, prevalgono la mancanza di competenze finanziarie dei soggetti investiti, debolezza dei social business model e un’assenza di politiche pubbliche.
Scarica il report completo: tiresia-impact-outlook-2019
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